Da Musicboom.it
Uno tsunami noise, stomp e r'n'r
di
Giulio Cisamolo
Paprika, coadiuvata da un detective della polizia, in cura sperimentale con PT e coinvolto suo malgrado nelle indagini, scopre una cosa potenzialmente terribile: il PT si comporta come un’allergia e una mente umana, una volta che è venuta in contatto con PT, può essere violata dalla macchina che fa entrare nei sogni anche quando il soggetto è sveglio e non è collegato all’apparecchiatura. Si rischia quindi che chiunque possa entrare nei sogni di chiunque, manipolandoli ed influenzando in questo modo la vita reale. Paprika-Atsuki ed il poliziotto dovranno salvare l’umanità da questa terribile prospettiva, e contemporaneamente proteggere se stessi dai propri sogni.
Kon Satoshi, già autore del natalizio film d’animazione Tokio Godfathers, si addentra in un campo tanto interessante quanto difficile da maneggiare. Ne viene fuori un film incredibilmente affascinante nella prima parte, in cui il regista ci introduce al miracolo di PT e possiamo sbirciare nei sogni altrui; la seconda parte perde di mordente, scema per il continuo accumulo di elementi nell’intreccio, che né aiutano lo spettatore nella fruizione, né aiutano il film, appesantendolo di molto. Resta comunque il merito di aver parlato in modo originale del sogno, del suo rapporto col reale, della sottile linea di divisione che separa questi due mondi, l’uno delle tenebre l’altro della luce.
E resta anche il fatto che l’ambito toccato, il sogno, è da sempre uno di quelli che più hanno affascinato l’uomo sia a livello filosofico che psicologico. Satoshi si diverte ad esplorare questo mondo, e la prima parte riflette questa sua gaiezza. Le immagini perdono di consequenzialità, assumono una propria inesplicabile logica nel susseguirsi l’un l’altra; i colori sono squillanti, i suoni cacofonici ed accavallati, i dialoghi degni del miglior artista surreale. Lo spettatore è ipnotizzato dalle scene dei sogni, da queste parate di personaggi inesistenti, e vorrebe poter non tornare mai indietro. Ed ecco che Satoshi ci avvisa che è proprio questo il più grande problema dei sogni: non vorrebbe mai, per nessun motivo al mondo, tornare indietro.
Titolo originale: Paprika
Nazione: Giappone
Anno: 2006
Genere: Animazioni
Durata: 90’
Regia: Kon Satoshi
Sito ufficiale:
Cast:
Produzione: Mad House Ltd.
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Data di uscita: Venezia 2006
da www.nonsolocinema.com
Verona, 1970. Il piccolo Sergio non si trova bene nel mondo e preferisce restare da solo a fantasticare. Quando i suoi genitori, durante un’estate trascorsa in campagna, gli dicono che presto avrà un fratellino, comincia a pensare la sua vita con lui e finisce per immaginare di bruciarlo vivo su una graticola. Qualche giorno dopo la madre ha un aborto ed il piccolo Sergio si trova ad affrontare le sue grandi colpe.
Pietro Reggiani, figlio del grande critico Stefano, presenta, come lui stesso ammette, per l’ennesima volta al pubblico questo suo bel lavoro. Non si tratta infatti di una prima quella di ieri in un piccolo cinema di Verona; infatti dal 2003, anno in cui è stato girato il finale del film quando tutto il resto del girato risale al 1998, Reggiani ed i suoi ormai non più tanto piccoli attori hanno frequentato l’ambiente dei piccoli festival italiani, vincendo il Bergamo Film Meeting, ed approdando a New York, dove il Tribeca di Bob De Niro ha consegnato a questa pellicola il secondo premio.
Risulta molto sconsolante constatare come questo lavoro, alla ricerca di una distribuzione da ormai quasi tre anni, non riesca a trovare nessuno disposto a lanciarlo sul mercato. Eppure, pur essendo un film a bassissimo costo (girato in pellicola, costato 200.000 euro, un’inezia), questo ha tutta l’aria di un lavoro decisamente notevole. Narrativamente supremo, questo film riesce a descrivere la vicenda di questo bambino che dà pieno spazio alla propria fantasia, non le pone limiti. Reggiani quindi confonde, sovrappone, commistiona, giustappone i due piani della realtà e dell’immaginazione di Sergio che alla fine, per forza di cose, diventeranno tutt’uno. Assolutamente da non perdere, anche se purtroppo effettivamente si perderanno, le molte scene in cui il bimbo, sguinzagliando tutto il proprio potere immaginifico, cambia la realtà, la trasforma in qualcosa d’altro, in qualcosa di onirico, ironico e certamente più vivibile.
Altro grande elemento caratterizzante il film è lo splendido paesaggio della Lessinia; la scena dell’inseguimento di Sergio al fratellino immaginario ricorda molto, per l’utilizzo degli spazi aperti e dei campi lunghi e lunghissimi, il grande John Ford. Per concludere con un velo di sottilissima polemica: questo è un film ambientato negli anni ’70 ma non è un film sugli anni ’70; questa assenza di ammiccamenti, questo lirismo e questo aver preferito Vivaldi, Litsz e Mozart nella colonna sonora rispetto a qualche hit del tempo, questa volontà insomma di non inserirsi in quest’ultimo filone di cinema italiano frivolo e di successo al botteghino è probabilmente uno dei principali motivi della finora mancata distribuzione. Sinceramente, per il cinema e per lo spirito che anima, o dovrebbe animare la settima arte, va bene così.
Regia: Pietro Reggiani
Interpreti: Davide Veronese, Tommaso Ferro, Maria Paiato, Pietro Contempo
Sceneggiatura: Pietro Reggiani
Fotografia: Luca Coassin, Werther Germondari
Montaggio: Valentina Girodo, Alessandro Corradi
Produzione: Antonio Ciano per Nuvola Film
Durata: 81 minuti
da www.nonsolocinema.com
Apprezzavamo Clapton quando, con i nostri baffoni anni settanta, lo ascoltavamo con gli Yardbirds (in realtà solo nel primo album: mollò il gruppo quando il successo era appena all'orizzonte). Lo abbiamo seguito negli anni con i Cream prima, con i Blind Faith e i Derek & The Dominos poi. Sconosciuto invece ai più, complice una decisa misantropia, Cale è stato reso famoso da alcuni rifacimenti di pezzi da lui composti: “After Midnight” e “Cocaine” sono i brani che hanno lanciato al grande pubblico il talento solista di Clapton, il quale, a sua volta, ha mostrato a molti l'attività del bluesman Cale, quarant’ anni di musica per soli tredici album che però valgono tutto il tempo atteso per la pubblicazione.
Qui, nel loro incontro fatto di quattordici tracce di pura emozione i due ripercorrono la storia del blues-rock spaziando agilmente dalle ballate che vi aspettereste di sentire in un polveroso saloon di provincia (Dead End Road) ai ritmi più lounge che il blues possa permettersi (Sporting Life). Reduce dall'insuccesso di “Back Home”, Clapton non rinuncia ad un blues piuttosto easy, appiattito sui gusti del pubblico, e nemmeno l'incontro con il grande vecchio Cale e il suo inconfondibile Tulsa-sound lo redime da questo peccato, se così lo vogliamo considerare. Tracce come Missing Person potrebbero così suonare un poco vuote, ma la perfezione tecnica e l'intesa eccezionale fanno, nonostante tutto, battere il piede e fischiettare il motivetto.
Strabiliante, allo stesso modo, il risultato che i bluesmen riescono a raggiungere duettando nel corso dell'album: in tracce come Heads in Georgia o So Easy due voci così idiosincratiche trovano un'esatta, inimmaginabile intesa, quasi ad abbracciarsi in un vortice melodico che però non snatura le rispettive personalità. Insomma: disco assai valido, certo non rivoluzionario, ma frutto di un incontro che più di così non poteva dirsi così fortunato.
Giulio Cisamolo
Da MusicBoom.it