mercoledì 25 aprile 2007

Abash, Madri senza Terra

Dal 2000 scuotono le radici della tradizione popolare salentina: continuano a farlo anche oggi, ma con un piede in terra d'Africa e i polmoni pieni del profumo mediorientale.

Gli Abash (Anna Rita Luceri, voce, Maurilio Gigante, basso e voce, Luciano Treggiari, percussioni, flauto, theremin, hang, Luciano Toma, tastiere, Paolo Colazzo, batteria, e Daniele Stefano, chitarre), capogruppo della rinata attenzione della critica musicale per la musica etno-popolare salentina, nascono nel 1998 e portano a compimento nel 2000 la loro prima opera, Salentu e Africa.
Firmato Maurilio Gigante, nel pezzo che dà il nome all'album potremmo sentire il leitmotiv di una vita trascorsa nel Salento: terra di confine, passaggio ed invasione (tre sostantivi che significano la stessa cosa; contaminazione) tra la Penisola e i vicini territori africani ed arabi, influisce sul gruppo portandolo a coltivare un eclettico prog-rock arricchito dalla salsedine del mare Mediterraneo, dalla sabbia del deserto africano e dalle spezie del vicino oriente.

Se non mancano gli spazi dedicati alla sperimentazione e al culto del virtuosismo e della tecnica pura, tuttavia questi stessi sono calati in un hic et nunc che vena ogni traccia come fosse gelato all'amarena.

E' stato così per Spine e Malelingue (2204) secondo album della formazione, è così per Madri Senza Terra, terza fatica del gruppo del giugno 2006.
Undici tracce, la cui apertura è affidata a Niuru te Core, un monologo che profuma di sabbia e sudore, in cui a confrontarsi sono due voci, una ebraica a scandire le parole di una cantilena, e una (lo scopriremo più avanti nell'album) italiana ma salentina.

L'intero album, dopotutto, è giocato sul doppio e sul contrappunto: in alcuni casi sono due voci che si rincorrono nell'epico duello maschile/femminile (Salentu e Africa, successo dal primo album), in altri sono due idiomi a contendersi una linea di voce (Maràn Athà), in altri ancora (Madri senza Terra) sono chitarre dure e solide che sembrano non voler cedere terreno ai lirismi di una solista che non demorde, tra spruzzi come acqua sugli scogli di sintetizzatori (che piacere sentire utilizzato ancora una volta un theremin) e pause delicate.

Un ottimo album, segno di un'Italia musicale in fermento, capace di guardare al di là del panorama nazionale, pur rimanendo con il cuore saldo al caldo sole della Puglia.

Da www.rockshock.it