martedì 22 maggio 2007

Good Charlotte, Good Morning Revival

Prendete cinque ragazzi un po' bellocci, ma state attenti che due di questi abbiano un background strappalacrime da rinfacciare ad una società insensibile. Associateli ad un grande e smaliziato produttore, e firmate per loro un contratto per il disco d'esordio. Aspettate qualche anno e lasciate passare qualche producer: cavalcheranno il successo del primo album anche per i successivi. Fateli poi tornare con il produttore dell'esordio... et voilà, successo assicurato.

E' bastato tornare nelle sapienti mani di Don Gilmore (produttore di "Good Charlotte", 2000) perchè la band, repentinamente e senza troppi ripensamenti, si trovasse nuovamente a suonare quel rock un po' melodico che ce li aveva fatti conoscere con il loro primo album.
A quanto dicono le nutrite schiere di fan dei gemelli Madden, "Good Morning Revival" è l'ennesimo e insuperabile successo di una band (Joel e Benji Madden, il chitarrista Billy Martin, il bassista Paul Thomas e il batterista Dean Butterworth) che aspetta fuori dalla R'n'R Hall of Fame l'orario di apertura, ma, se guardassimo meglio il successo della band, ci verrebbe il lecito dubbio che quest'ultimo si riduca a strategie di marketing ben pianificate e ancor meglio attuate: un ascolto facile per motivetti destinati a rimanere soltanto per il tempo dell'esecuzione, in cui la fanno da padrona componenti scenografiche (se possiamo ravvisarle in una traccia audio) e ospitate TV.
Un intero album segnato da un orecchiabile pop-rock, nel quale i legami con il passato, come dicevamo, sono ben individuabili: al pop-punk (sempre negato, del resto, dai già citati frontman) si sostituisce oggi un rock stucchevole, venato di rap, grunge e post-grunge, che ottiene l'ammirevole risultato di portare a compimento un album per il quale è davvero difficile, una volta terminato l'ascolto, trovarsi a canticchiare almeno uno dei pezzi. Nessuna traccia bandiera, quindi, non fosse per l'heavy rotation di Keep Your Hands Off My Girl, canzone in cui sono ben ravvisabili influenze Prodigy e Beastie Boys da non prendere troppo sul serio grazie ai coretti in contrappunto che le circondano.
L'album si dipana, veloce, tra le diverse contaminazioni che spolverano le tracce: debitore di una tradizione punk "classica", ad esempio, è The River (feat. M. Shadows e Synyster Gates degli Avengend Sevenfold, band emo-metal core californiana), giocato sull'alternarsi delle voci e sulla batteria ossessivamente costante, nel quale dovrebbe riversarsi l'ammirazione per gli inossidabili Clash dichiarata dai gemelli. Segnato da un pesante uso di sintetizzatori è Break Apart Her Heart, frutto delle influenze rap. Passionali e più "rock" sono pezzi come Victim Of Love, contraddistinta dagli strumenti distorti, e Where Would We Be Now, questa volta in semi acustico, per un pezzo alquanto melenso ed esemplare del rock quando sa essere appiccicoso.
Un album grazie al quale i Good Charlotte promettono di saper cavalcare ancora una volta l'onda del successo, grazie ad uno stile orecchiabile per un ascolto tutto sommato semplice, al contrario di quanto potrebbe sembrare, destinato e progettato per l'impatto sul grande pubblico.