giovedì 5 luglio 2007

Bastard Fairies, Memento Mori

I Bastard Fairies (Yellow Thunder Woman, voce, e Robin Davey, tutto il resto) sono abituati a stupire. Sono abituati a stupire con il loro diciottesimo posto nella classifica dei "Most subscribed Musician of All time". E sono abituati a farlo dall'alto del loro trentunesimo posto nella classifica dei video più visti di Youtube. Un Internet Phenomenon, a quanto pare, giustificato da buona musica e vivace creatività.

Nati nel 2003 a L.A. California, i Bastard Fairies fanno musica con il loro Mac, ed in ossequio al marketing web-based distribuiscono le dodici tracce del loro album d'esordio, “Memento Mori”, in download gratuito dal sito ufficiale, riservando quattro ulteriori canzoni per l'edizione in vendita nei negozi.
Ad un primo ascolto le dodici tracce possono suonare a metà tra un canto iconoclasta (se ne è mai esistito uno) e una raccolta di brani per ricordare quando i vostri figli prendevano parte a quelle assurde recite in terza elementare. Ad un secondo l'impressione resta la stessa, ma dal terzo in poi il disco comincia a girare per il verso giusto.
Perchè la voglia di stupire, come dicevo prima, c'è, ma non è così "facile" come potremmo pensare.
Perchè se in paradiso le unioni perfette sono quelle "senza concepimento", l'unico pass che vi chiederanno per entrarci sarà una lobotomia: The Greatest Love Song, traccia strumentale essenziale riempita nelle sue lacune dalla vocalità carezzevole dai Yellow Thunder Woman, ripete a più voci quanto una vasectomia ed una isterectomia possano portare alla felicità. Felicità? La ricetta per ottenerla sembra contenuta nella traccia successiva: sorridere sempre e comunque. Al di sopra della linea strumentale ridotta all'osso e poco più sviluppata dei semplici accordi, la voce della solista multiforme grazie al delicato uso di sintetizzatori, che ambigua ci invita a prendere una fetta della sua Apple pie, panacea per tutti i mali del cocktail party.
Non è una realtà dorata quella che i Bastard Fairies raccontano: Habitual Inmate, stesa su di un tappeto di tastiere, racconta del mondo paranoico, ma sempre splendente e confortevole, di una persona ossessionata dall'igiene. Con la stessa freschezza e facilità storie di tradimenti e di fiducia mal riposta sono narrate nella traccia successiva: la voce perennemente distorta confessa il suo tradimento con il ragazzo della porta accanto (The Boy Next Door), perchè il conto, si sa, si pagherà soltanto “alla fine”, “la vita è breve” e merita di essere vissuta. Per arrivare alla Ode to Prostitute il passo è decisamente breve: uno scatto del numero sul display e ci sentiamo raccontare della funzione sociale che svolge una prostituta, di come il suo business sia chiaro e senza indesiderati coinvolgimenti personali. Una visita dal dentista senza anestesia è, invece, We're All Going to Hell: se alla prostituta dobbiamo riconoscere un certo e utile status sociale, ora scopriamo che invariabilmente, qualunque sia il nostro credo o occupazione, finiremo tutti all'inferno, che è un posto di "fire and brimstone": per la prima traccia davvero completa i Bastard Fairies scelgono accenni di basso saturato e distorto, molto pop, a cui fanno da contrappunto note di sintetizzatore alte e cadenzate. Toccate per un attimo sonorità pop, ora l'album verte più semplicemente verso l'uso di chitarre acustiche e voci distorte come quelle che vi aspettereste provenire da una vecchia radio polverosa: Moribund e la title-track colpiscono per la loro durezza ed immediatezza, tanto che potrebbero essere tranquillamente inclusi in un album completamente diverso da quello che abbiamo sentito fino ad ora.
Indie-pop dunque? Se la critica ufficiale vuole che di ciò si tratti, come ogni etichetta questa è estremamente riduttiva e mortificante: se è indie lo è decisamente intelligente, smaliziato e diretto, e se è pop è di quello buono. Molto buono.

Da Musicboom.it

1 commento:

Anonimo ha detto...

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